TRINCEA
scritto e interpretato da Marco Baliani
regia Maria Maglietta
scene e luci Lucio Diana
musica e immagini Mirto Baliani
visual design David Loom
produzione MARCHE TEATRO
in coproduzione con Festival delle Colline Torinesi
Si ringrazia Luigi Ceccarelli
debutto, 10 giugno 2015, Teatro Astra, Festival delle Colline Torinesi, Torino
NOTE DI REGIA (Maria Maglietta)
La scena è una grande pagina bianca, uno spazio sospeso, un luogo che attende di vivere. È anche una delle “gabbie” di Francis Bacon, artista a cui ci siamo ispirati nell’ideazione dello spettacolo.
La gabbia permette di isolare uno spazio tempo astratto in cui poter “dissezionare” le presenze umane che la agiscono. In questo spazio il corpo di un soldato inizia a muoversi e allora, come grattando nella scorza del tempo, riaffiorano schegge di vita, luoghi, azioni, sempre in una forma materica, concreta. Il soldato è un corpo narrante, tragico baluardo di un disperato istinto di sopravvivenza, e non racconta di un solo uomo, ma ci restituisce i diversi istanti di vita di uomini “comuni” nelle condizioni disumane della prima guerra mondiale.
Le immagini si susseguono a volte sollecitate da un suono, a volte create dalle parole, altre volte ancora guidano il corpo del soldato o ne sono guidate, in una tessitura di linguaggi l’un l’altro compenetranti, senza mai cedere a una descrizione illustrativa .
I tanti corpi che appaiono e si dissolvono nello spazio ci restituiscono la frammentarietà dell’esistenza umana in trincea, lo spaesamento, la solitudine, la perdita di individualità.
Non c’è una storia, non c’è un unico racconto, ci sono squarci di esistenze che la “gabbia” rende precarie, in bilico, sempre in procinto di perdersi e annullarsi.
In quella terra di nessuno il soldato scopre che il proprio sentirsi ancora un essere umano non serve più, anzi diviene drammaticamente un limite, un peso.
La gigantesca macchina industriale della guerra ha scardinato i valori che fino allora avevano governato la vita degli esseri umani.
SINOSSI (di Marco Baliani)
Sono trascorsi cento anni dal primo conflitto mondiale. Ci saranno celebrazioni, pubblicazioni, conferenze, riflessioni, e altro ancora.
Io vorrei provare a toccare un piccolo punto di quell’immensa catastrofe, un solo corpo, quello di un qualsiasi soldato, anonimo, non appartenente a una precisa nazionalità, e toccare quel corpo nel luogo più emblematico di quella guerra, la trincea.
Vorrei tentare di essere laggiù, in quel punto di una trincea di molti anni fa, ed esserci prima di tutto fisicamente, come corpo, in una forma di mimesi totale, in modo da essere così immerso nella dimensione dell’orrore e della sua gratuità da percepire almeno per un istante “il tipo di esistenza” di quel soldato.
Per il soldato in trincea il tempo si assolutizza in un puro denso presente, un tempo inceppato nella minuta quotidianità della sopravvivenza, fatto di gesti folli divenuti normali, di azioni compiute per inerzia, senza speranza di cambiamenti. La percezione del tempo impedisce alla parola di farsi discorso, essa gira in un flusso vegetativo o semidormiente, si etilizza, ubriaca di terrore o di fame o comunque di mancanze. La narrazione non può più espletarsi in un flusso temporale continuo lineare e accertato da un inizio e una fine, ma viene spezzata, impossibilitata a compiersi, gli improvvisi vuoti dell’anima non sono più ricomponibili né colmabili in parole, il vivere diviene un inarrestabile fluire di frammenti, come frammentato appare il Tempo per chi in ogni istante è sottoposto alla casualità di un morire inutile e atroce.
L’individuo perde la coscienza della propria individualità, il singolo soldato diviene ingranaggio di una immensa fabbrica produttrice di morte. È un pezzo di ricambio, un pezzo di artiglieria fatto di carne umana.
La prima guerra mondiale sperimenta su larga scala una forma di totale assoggettamento dell’uomo, la sua riduzione ad automa, fantoccio, cosa.
È da qui, da quel momento storico che si inaugura in occidente la possibilità di un controllo biopolitico del corpo umano, in forma industriale, di massa.
Aprendo la strada ai tanti totalitarismi del terrore del nostro Novecento.
Marco Baliani