QUI COMINCIA L’AVVENTURA DEL SIGNOR BONAVENTURA
adattamento testo Gilberto Tofano
regia Marco Baliani
drammaturgia Maria Maglietta
interpreti Silvia Briozzo, Stefania Carnevali, Giacomo Curti, Massimo Esposito, Carlo Ottolini, Mariano Nieddu, Franco Pistoni, Patricia Savastano
scene Riccardo Sivelli
costumi Daniela Cernigliaro
assistente alla regia Elisa Cuppini
musiche Mirto Baliani
produzione Teatro di Roma
in collaborazione con Fondazione Cinema per Roma e Laboratorio Integrato Piero Gabrielli
debutto il 28 ottobre 2007, Teatro Argentina, Roma
1917. Per la prima volta 90 anni fa la mano di Sergio Tofano disegnava la figura di uno strano ometto, con una palandrana rossa e sbuffanti calzoni bianchi, che trasformava una iniziale sventatezza in un colpo di fortuna, rovesciando la sorte a proprio favore. Nasceva il Signor Bonaventura ed era l’inizio di una fortunata saga per la gioia dei bambini lettori del Corriere dei piccoli e per la felicità dei tanti adulti che di nascosto leggevano a loro volta quelle avventure, scoprendo nel personaggio del Signor Bonaventura una sorta di antidoto giocoso e surreale ai guai dell’esistenza.
NOTE REGIA (Marco Baliani)
L’immagine del signor Bonaventura che più mi è rimasta impressa nella memoria è quella di una figurina vestita di rosso e di bianco con due lunghe scarpe da clown che casca di sotto sporgendosi troppo da un qualche balcone, accompagnato nella caduta da un giallo cane bassotto che gli sta sempre tra i piedi.
Nelle tavole disegnate da Sto, Bonaventura inciampa, cade, precipita, sbatte, imprevedibili eventi si abbattono su di lui, ma Bonaventura, mantenendo intatta una sorta di istintiva e primitiva innocenza, sempre riesce a cavarsela, non solo, ma ogni atto maldestro trova nel giro di poche sequenze una spropositata ricompensa, un fazzolettone bianco di carta con su scritto “un milione”.
Il milione di Bonaventura è come il deposito di fantastiliardi di zio Paperone, ma qui, nelle tavole di Sergio Tofano, la cifra resta astratta, è solo scritta, non è un denaro da vedere o toccare, resta un puro sogno. La ricompensa è un ringraziamento, Bonaventura, proprio in virtù dei suoi infortuni, ripara danni da altri subiti, ritrova preziosi oggetti smarriti, permette la cattura di ladruncoli e lestofanti, salva le vite di affogati, toglie il bel Cecè dai guai. E se la sciagura è il perfido Barbariccia che gli tende un agguato, ecco che Bonaventura trasforma la batosta subita in una nuova meritevole impresa.
Bonaventura è parente non troppo lontano dello sciocco Giufá del nostro sud e sarà poi ispiratore del Marcovaldo calviniano del nord.
Queste figure innocenti di sbadataggine inveterata, di stoltezza dolce e ingenua, ci raccontano che la vita dopo averci tanto spintonato e bistrattato, ci può d’improvviso ricompensare.
Le loro storie assolvono così alla funzione di ogni storia, cercare di rendere il mondo meno terribile. Bonaventura permette a tutti noi di credere, sognare, immaginare che le batoste che il mondo continuamente ci propina possano rivelare inaspettate vie d’uscita.
E l’innocente serenità con cui Bonaventura sopporta i più spericolati imprevisti, potrebbe essere un ottimo antidoto alla spietata oggettività del vivere.
In questo nostro tempo dove sembrano vincere la sopraffazione e la protervia, dove la smania di successo e l’ansia di apparire sembrano l’unica misura dell’esistere, Bonaventura è ancora più attuale, con leggerezza ci indica altre strade possibili da percorrere, mettendo alla berlina la presuntuosa compattezza del mondo.