LO STRANIERO
di Albert Camus
con Marco Baliani
regia Maria Maglietta
inserti filmati Mario Martone
traduzione Alberto Zevi
adattamento drammaturgico Maria Maglietta e Marco Baliani
scene e costumi Carlo Sala
musiche originali Luigi Polimeni
luci Roberto Innocenti
direttore dell’allestimento Renzo Cecchini
aiuto regia Barbara Roganti
costruzione scene Marco Viegi
assistente tecnico Tommaso Leonetti
sarta Antonietta Coci
foto di scena Marco Caselli
ufficio stampa Franca Mezzani
produzione Teatro Metastasio – Stabile della Toscana
NOTE DI REGIA
La costruzione drammaturgica procede come un flusso di memoria a ritroso rispetto al romanzo, partendo dalla fine e riandando non in forma lineare a scoprire i crocicchi esistenziali del personaggio e della sua storia. Un montaggio di pezzi che il protagonista vivifica nel presente della cella attraverso una voce interiore che “parla da sola”, che si fa veicolo di eventi trascorsi ma impressi nella mappa dell’anima come stessero sempre di nuovo accadendo.
Lo spezzato narrare di Meurseault non è mai ricordo nostalgico, mai retorica della memoria, piuttosto un modo di sviscerare quel grumo assurdo che è la vita.
Così, accettandone l’assurdità, proprio nominando gli oscuri passaggi della sua esistenza, Meurseault arriva, lui prigioniero in attesa della ghigliottina, quasi vicino ad una forma di libertà. Questa volta, proseguendo la ricerca sul rapporto tra narrazione e teatro, Marco è personaggio narrante, assume un ‘io’, quello di Meurseault, cosa che di solito non accade nella tradizione del raccontatore di storie. Si tratta qui di una strana commistione in cui si dispiega un’affabulazione monologante, una prova d’attore che si misura con la tradizione ma che innesta nel percorso una drammaturgia spezzata, non diacronica, non lineare.
La forza evocativa del raccontare di Marco, quella capacità attraverso un corpo narrante di rendere visibile l’invisibile, pone lo spettatore in una condizione di ascolto immaginativo, permette a ciascuno di costruire un proprio film mentale. Le musiche composte da Luigi Polimeni creano un paesaggio sonoro emotivo che interagisce con il racconto scandendone le fasi narrative. Ma in questo modo si rischia che la visionarietà evocata dalle parole innalzi il personaggio in una cornice epica, quasi eroica. Occorre dunque un contraltare che spiazzi lo spettatore, una formula brechtiana che lo costringa a risvegliarsi dall’incantamento della narrazione. Nella messa in scena queste necessarie rotture avvengono attraverso momenti di proiezioni filmica, realizzati da Mario Martone, squarci di memoria amplificata sulla distanza dello spazio scenico, e che sintetizzano con un altro linguaggio l’indicibilità dell’esperire. Mario Martone ha usato una asciuttezza di ripresa, che proprio nel frammento, ben risponde alla necessaria, serrata scrittura di Camus. Così nel susseguirsi di avvenimenti che la traccia filmica va mostrando, si propone quasi una oggettività di azioni, che inchioda il tempo e lo rende im/mortale. In questo modo, nel sovrapporsi dei linguaggi, anche la narrazione dell’attore torna a fare i conti con l’asciuttezza spietata della scrittura di Camus, che costringe il mondo intero dentro una speciale forma di oggettività dolorosa e straniante.
Le luci ideate da Roberto Innocenti isolano uno spazio scenico volutamente minimo, pochi metri quadrati di costrizione. Uno spazio che costringe alla sintesi, alla sottrazione, che obbliga a cercare nella misurata necessità di un gesto la forza comunicativa ed evocativa. Il limite spaziale coincide tematicamente con la condizione di reclusione del personaggio. La precarietà dell’esistere, l’assurdità della condizione umana, si fanno sostanza fisica attraverso un corpo barcollante nel vuoto. Questo spazio sospeso, ideato da Carlo Sala, quasi ideogramma di una cella, è zattera, punto fluttuante, isola alla deriva. In questo luogo, nel silenzio di giorni interminabili, si snoda il flusso del racconto che, nella sua fatica di essere, assomiglia alla reiterata impresa di Sisifo, a quella pietra impossibile che sempre ricade per essere riportata al punto di partenza.