TERRA DOVE NON ANNOTTA
II TAPPA DELLA TRILOGIA SULLA MEMORIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
di Marco Baliani, Francesco Guadagni, Maria Maglietta
regia di Marco Baliani
con Bernardino Bonzani, Antonello Cossia, Gabriele Duma, Fabiano Fantini, Carlo Ferrari, Piergiorgio Gallicani, Caia Grimaz, Elisa Cuppini, Claudio Moretti, Renato Rinaldi, Antonio Volpi
una creazione per Dalla Guerra alla Pace
in collaborazione con Museo Storico Italiano della Guerra, Museo Storico di Trento, Materiali di Lavoro e Ars Group
anno di debutto: 1995
Il Forte Sommo Alto è un organismo possente, ancora oggi imponente, che mostra le sue ferite, le sue lacerazioni, la furia subita come squarci non rimarginati, testimonianza di una violenza cieca, accanita, ripetuta. Il forte è così segno tangibile, non metaforico, della guerra stessa.
Cercheremo di farne rivivere le memorie, per una notte, attraverso le voci dei tanti soldati che pur governandolo ne erano prigionieri, ne subivano l’isolamento atroce, la perdita del senso del tempo, lo spaesamento: compagni in questo di quegli altri soldati in trincea, uomini di fango, sepolti vivi, in attesa assurda del prossimo scoppio e della prossima catastrofe.
Se in Come gocce di una fiumana mostriamo l’assurdità della guerra isolando il tema dello sradicamento di uomini e cose, di paesaggi interiori e affetti, qui il tema unificante è quello del Nemico.
Un Nemico invisibile, che si presenta sotto forma di scoppio e ferite e pallottole, un Nemico fatto di suoni, da crearsi immaginariamente, da portarsi dentro, un Nemico interno allo stesso fronte, quando ordini assurdi mandano a morire inutilmente centinaia di uomini.
La forma del Nemico diviene ossessione, smania, orgasmo.
Anche qui avremo piccole storie di soldati, avremo soprattutto voci e i sogni affidati ad una lettera e i commenti amari a un diario.
Nella pallottola del cecchino che trasforma la guerra in un spietato gioco di tiro a segno si condensa la follia di ogni guerra in ogni tempo e la costruzione immaginaria di un Nemico da distruggere e su cui accanirsi rivela meccanismi economici e psicologici ancora oggi purtroppo attuali. Cercheremo insomma anche questa volta, parlando della Grande Guerra, di toccare le nostre inquietudini contemporanee, la nostra miseria, i nostri conflitti.
Questo percorso di esperienze il teatro può ancora compierlo a patto di saltare a piè pari ogni retorica e di disporsi verso le memorie di quelle ferite con la voglia di comprenderne le radici e d sentirle ancora palpitare.
Marco Baliani